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Aggiornamento: 7 nov 2023

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lI Parroco

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella catechesi precedente abbiamo visto come la preghiera cristiana sia “ancorata” alla Liturgia. Oggi metteremo in luce come dalla Liturgia essa ritorni sempre alla vita quotidiana: per le strade, negli uffici, sui mezzi di trasporto... E lì continua il dialogo con Dio: chi prega è come l’innamorato, che porta sempre nel cuore la persona amata, ovunque egli si trovi.


In effetti, tutto viene assunto in questo dialogo con Dio: ogni gioia diventa motivo di lode, ogni prova è occasione per una richiesta di aiuto. La preghiera è sempre viva nella vita, come fuoco di brace, anche quando la bocca non parla, ma il cuore parla. Ogni pensiero, pur se apparentemente “profano”, può essere permeato di preghiera. Anche nell’intelligenza umana c’è un aspetto orante; essa infatti è una finestra affacciata sul mistero: rischiara i pochi passi che stanno davanti a noi e poi si apre alla realtà tutta intera, questa realtà che la precede e la supera. Questo mistero non ha un volto inquietante o angosciante, no: la conoscenza di Cristo ci rende fiduciosi che là dove i nostri occhi e gli occhi della nostra mente non possono vedere, non c’è il nulla, ma c’è qualcuno che ci aspetta, c’è una grazia infinita. E così la preghiera cristiana trasfonde nel cuore umano una speranza invincibile: qualsiasi esperienza tocchi il nostro cammino, l’amore di Dio può volgerla in bene.

A questo proposito, il Catechismo dice: «Noi impariamo a pregare in momenti particolari, quando ascoltiamo la Parola del Signore e quando partecipiamo al suo Mistero pasquale; ma è in ogni tempo, nelle vicende di ogni giorno, che ci viene dato il suo Spirito perché faccia sgorgare la preghiera. […] Il tempo è nelle mani del Padre; è nel presente che lo incontriamo: né ieri né domani, ma oggi» (n. 2659). Oggi incontro Dio, sempre c’è l’oggi dell’incontro.

Non esiste altro meraviglioso giorno che l’oggi che stiamo vivendo. La gente che vive sempre pensando al futuro: “Ma, il futuro sarà meglio…”, ma non prende l’oggi come viene: è gente che vive nella fantasia, non sa prendere il concreto del reale. E l’oggi è reale, l’oggi è concreto. E la preghiera avviene nell’oggi. Gesù ci viene incontro oggi, questo oggi che stiamo vivendo. Ed è la preghiera a trasformare lo questo oggi in grazia, o meglio, a trasformarci: placa l’ira, sostiene l’amore, moltiplica la gioia, infonde la forza di perdonare. In qualche momento ci sembrerà di non essere più noi a vivere, ma che la grazia viva e operi in noi mediante la preghiera. E quando ci viene un pensiero di rabbia, di scontento, che ci porta verso l’amarezza. Fermiamoci e diciamo al Signore: “Dove stai? E dove sto andando io?” E il Signore è lì, il Signore ci darà la parola giusta, il consiglio per andare avanti senza questo succo amaro del negativo. Perché sempre la preghiera, usando una parola profana, è positiva. Sempre. Ti porta avanti. Ogni giorno che inizia, se accolto nella preghiera, si accompagna al coraggio, così che i problemi da affrontare non siano più intralci alla nostra felicità, ma appelli di Dio, occasioni per il nostro incontro con Lui. E quando uno è accompagnato dal Signore, si sente più coraggioso, più libero, e anche più felice.

Preghiamo dunque sempre per tutto e per tutti, anche per i nemici. Gesù ci ha consigliato questo: “Pregate per i nemici”. Preghiamo per i nostri cari, ma anche per quelli che non conosciamo; preghiamo perfino per i nostri nemici, come ho detto, come spesso ci invita a fare la Scrittura. La preghiera dispone a un amore sovrabbondante. Preghiamo soprattutto per le persone infelici, per coloro che piangono nella solitudine e disperano che ci sia ancora un amore che pulsa per loro. La preghiera compie miracoli; e i poveri allora intuiscono, per grazia di Dio, che, anche in quella loro situazione di precarietà, la preghiera di un cristiano ha reso presente la compassione di Gesù: Lui infatti guardava con grande tenerezza le folle affaticate e smarrite come pecore senza pastore (cfr Mc 6,34). Il Signore è – non dimentichiamo – il Signore della compassione, della vicinanza, della tenerezza: tre parole da non dimenticare mai. Perché è lo stile del Signore: compassione, vicinanza, tenerezza.

La preghiera ci aiuta ad amare gli altri, nonostante i loro sbagli e i loro peccati. La persona è sempre più importante delle sue azioni, e Gesù non ha giudicato il mondo, ma lo ha salvato. È una brutta vita quella di quelle persone che sempre giudicano gli altri, sempre stanno condannando, giudicando: è una vita brutta, infelice. Gesù è venuto per salvarci: apri il tuo cuore, perdona, giustifica gli altri, capisci, anche tu sii vicino agli altri, abbi compassione, abbi tenerezza come Gesù. Bisogna voler bene a tutti e a ciascuno ricordando, nella preghiera, che siamo tutti quanti peccatori e nello stesso tempo amati da Dio ad uno ad uno. Amando così questo mondo, amandolo con tenerezza, scopriremo che ogni giorno e ogni cosa porta nascosto in sé un frammento del mistero di Dio.

Scrive ancora il Catechismo: «Pregare negli avvenimenti di ogni giorno e di ogni istante è uno dei segreti del Regno rivelati ai “piccoli”, ai servi di Cristo, ai poveri delle beatitudini. È cosa buona e giusta pregare perché l’avvento del Regno di giustizia e di pace influenzi il cammino della storia, ma è altrettanto importante “impastare” mediante la preghiera le umili situazioni quotidiane. Tutte le forme di preghiera possono essere quel lievito al quale il Signore paragona il Regno» (n. 2660).

L’uomo – la persona umana, l’uomo e la donna – è come un soffio, come un filo d’erba (cfr Sal 144,4; 103,15). Il filosofo Pascal scriveva: «Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo».[1] Siamo esseri fragili, ma sappiamo pregare: questa è la nostra più grande dignità, anche è la nostra fortezza. Coraggio. Pregare in ogni momento, in ogni situazione, perché il Signore ci è vicino. E quando una preghiera è secondo il cuore di Gesù, ottiene miracoli.




Papa Francesco, Udienza Generale, Mercoledì 10 Febbraio 2021, Biblioteca del Palazzo Apostolico.


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Si è più volte registrata, nella storia della Chiesa, la tentazione di praticare un cristianesimo intimistico, che non riconosce ai riti liturgici pubblici la loro importanza spirituale.


Spesso questa tendenza rivendicava la presunta maggiore purezza di una religiosità che non dipendesse dalle cerimonie esteriori, ritenute un peso inutile o dannoso. Al centro delle critiche finiva non una particolare forma rituale, o un determinato modo di celebrare, ma la liturgia stessa, la forma liturgica di pregare.

In effetti, si possono trovare nella Chiesa certe forme di spiritualità che non hanno saputo integrare adeguatamente il momento liturgico. Molti fedeli, pur partecipando assiduamente ai riti, specialmente alla Messa domenicale, hanno attinto alimento per la loro fede e la loro vita spirituale piuttosto da altre fonti, di tipo devozionale.

Negli ultimi decenni, molto si è camminato. La Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II rappresenta lo snodo di questo lungo tragitto. Essa ribadisce in maniera completa e organica l’importanza della divina liturgia per la vita dei cristiani, i quali trovano in essa quella mediazione oggettiva richiesta dal fatto che Gesù Cristo non è un’idea o un sentimento, ma una Persona vivente, e il suo Mistero un evento storico. La preghiera dei cristiani passa attraverso mediazioni concrete: la Sacra Scrittura, i Sacramenti, i riti liturgici, la comunità. Nella vita cristiana non si prescinde dalla sfera corporea e materiale, perché in Gesù Cristo essa è diventata via di salvezza. Potremmo dire che dobbiamo pregare anche con il corpo: il corpo entra nella preghiera.

Dunque, non esiste spiritualità cristiana che non sia radicata nella celebrazione dei santi misteri. Il Catechismo scrive: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega» (n. 2655). La liturgia, in sé stessa, non è solo preghiera spontanea, ma qualcosa di più e di più originario: è atto che fonda l’esperienza cristiana tutta intera e, perciò, anche la preghiera è evento, è accadimento, è presenza, è incontro. È un incontro con Cristo. Cristo si rende presente nello Spirito Santo attraverso i segni sacramentali: da qui deriva per noi cristiani la necessità di partecipare ai divini misteri. Un cristianesimo senza liturgia, io oserei dire che forse è un cristianesimo senza Cristo. Senza il Cristo totale. Perfino nel rito più spoglio, come quello che alcuni cristiani hanno celebrato e celebrano nei luoghi di prigionia, o nel nascondimento di una casa durante i tempi di persecuzione, Cristo si rende realmente presente e si dona ai suoi fedeli.



La liturgia, proprio per la sua dimensione oggettiva, chiede di essere celebrata con fervore, perché la grazia effusa nel rito non vada dispersa ma raggiunga il vissuto di ciascuno. Il Catechismo spiega molto bene e dice così: «La preghiera interiorizza e assimila la Liturgia durante e dopo la sua celebrazione» (ibid.). Molte preghiere cristiane non provengono dalla liturgia, ma tutte, se sono cristiane, presuppongono la liturgia, cioè la mediazione sacramentale di Gesù Cristo. Ogni volta che celebriamo un Battesimo, o consacriamo il pane e il vino nell’Eucaristia, o ungiamo con l’Olio santo il corpo di un malato, Cristo è qui! È Lui che agisce ed è presente come quando risanava le membra deboli di un infermo, o consegnava nell’Ultima Cena il suo testamento per la salvezza del mondo.

La preghiera del cristiano fa propria la presenza sacramentale di Gesù. Ciò che è esterno a noi diventa parte di noi: la liturgia lo esprime perfino con il gesto così naturale del mangiare. La Messa non può essere solo “ascoltata”: è anche un’espressione non giusta, “io vado ad ascoltare Messa”. La Messa non può essere solo ascoltata, come se noi fossimo solo spettatori di qualcosa che scivola via senza coinvolgerci. La Messa è sempre celebrata, e non solo dal sacerdote che la presiede, ma da tutti i cristiani che la vivono. E il centro è Cristo! Tutti noi, nella diversità dei doni e dei ministeri, tutti ci uniamo alla sua azione, perché è Lui, Cristo, il Protagonista della liturgia.

Quando i primi cristiani iniziarono a vivere il loro culto, lo fecero attualizzando i gesti e le parole di Gesù, con la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché la loro vita, raggiunta da quella grazia, diventasse sacrificio spirituale offerto a Dio. Questo approccio fu una vera “rivoluzione”. Scrive San Paolo nella Lettera ai Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (12,1). La vita è chiamata a diventare culto a Dio, ma questo non può avvenire senza la preghiera, specialmente la preghiera liturgica. Questo pensiero ci aiuti tutti quando si va a Messa: vado a pregare in comunità, vado a pregare con Cristo che è presente. Quando andiamo alla celebrazione di un Battesimo, per esempio, è Cristo lì, presente, che battezza. “Ma, Padre, questa è un’idea, un modo di dire”: no, non è un modo di dire. Cristo è presente e nella liturgia tu preghi con Cristo che è accanto a te.


Papa Francesco, Udienza Generale, Mercoledì 3 Febbraio 2021, Biblioteca del Palazzo Apostolico.


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