Aggiornamento: 17 gen 2020
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11 gen 2020Tempo di lettura: 3 min
"La prova del naufragio: tra la salvezza di Dio e l’ospitalità dei maltesi."
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il libro degli Atti degli Apostoli, nella parte finale, racconta che il Vangelo prosegue la sua corsa non solo per terra, ma per mare, su una nave che conduce Paolo prigioniero da Cesarea verso Roma (cfr At 27,1–28,16), nel cuore dell’Impero, perché si realizzi la parola del Risorto: «Di me sarete testimoni […] fino ai confini della terra» (At 1,8).
Leggete il Libro degli Atti degli Apostoli e vedrete come il Vangelo, con la forza dello Spirito Santo, arriva a tutti i popoli, si fa universale. Prendetelo. Leggetelo.
La navigazione incontra fin dall’inizio condizioni sfavorevoli. Il viaggio si fa pericoloso. Paolo consiglia di non proseguire la navigazione, ma il centurione non gli dà credito e si affida al pilota e all’armatore. Il viaggio prosegue e si scatena un vento così furioso che l’equipaggio perde il controllo e lascia andare la nave alla deriva.
Quando la morte sembra ormai prossima e la disperazione pervade tutti, Paolo interviene e rassicura i compagni dicendo quello che abbiamo ascoltato: «Mi si è presentato […] questa notte un angelo di quel Dio al quale io appartengo e che servo, e mi ha detto: “Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco, Dio ha voluto conservarti tutti i tuoi compagni di navigazione”» (At 27,23-24). Anche nella prova, Paolo non cessa di essere custode della vita degli altri e animatore della loro speranza.
Luca ci mostra così che il disegno che guida Paolo verso Roma mette in salvo non solo l’Apostolo, ma anche i suoi compagni di viaggio, e il naufragio, da situazione di disgrazia, si muta in opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo.
Al naufragio segue l’approdo sull’isola di Malta, i cui abitanti dimostrano una premurosa accoglienza. I maltesi sono bravi, sono miti, sono accoglienti già da quel tempo. Piove e fa freddo ed essi accendono un falò per assicurare ai naufraghi un po’ di calore e di sollievo.
Anche qui Paolo, da vero discepolo di Cristo, si mette a servizio per alimentare il fuoco con alcuni rami. Durante queste operazioni viene morso da una vipera ma non subisce alcun danno: la gente, guardando questo, dice: “Ma questo deve essere un grande malfattore perché si salva da un naufragio e finisce morso da una vipera!”. Aspettavano il momento che cadesse morto, ma non subisce alcun danno e viene scambiato addirittura – invece che per un malfattore – per una divinità.
In realtà, quel beneficio viene dal Signore Risorto che lo assiste, secondo la promessa fatta prima di salire al cielo e rivolta ai credenti: «Prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,18). Dice la storia che da quel momento non ci sono vipere a Malta: questa è la benedizione di Dio per l’accoglienza di questo popolo tanto buono.
In effetti, il soggiorno a Malta diventa per Paolo l’occasione propizia per dare “carne” alla parola che annuncia ed esercitare così un ministero di compassione nella guarigione dei malati. E questa è una legge del Vangelo: quando un credente fa esperienza della salvezza non la trattiene per sé, ma la mette in circolo. «Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri» (Esort. Ap. Evangelii gaudium, 9). Un cristiano “provato” può farsi di certo più vicino a chi soffre perché sa cosa è la sofferenza, e rendere il suo cuore aperto e sensibile alla solidarietà verso gli altri.
Paolo ci insegna a vivere le prove stringendoci a Cristo, per maturare la «convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti» e la «certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo» (ibid., 279).
L’amore è sempre fecondo, l’amore a Dio sempre è fecondo, e se tu ti lasci prendere dal Signore e tu ricevi i doni del Signore, questo ti consentirà di darli agli altri. Sempre va oltre l’amore a Dio.
Chiediamo oggi al Signore di aiutarci a vivere ogni prova sostenuti dall’energia della fede; e ad essere sensibili ai tanti naufraghi della storia che approdano esausti sulle nostre coste, perché anche noi sappiamo accoglierli con quell’amore fraterno che viene dall’incontro con Gesù. È questo che salva dal gelo dell’indifferenza e della disumanità.
Papa Francesco, udienza generale, Aula Paolo VI. Mercoledì, 8 gennaio 2020
10 gen 2020Tempo di lettura: 3 min
Cari fratelli e sorelle buongiorno!
Nella lettura degli Atti degli Apostoli, continua il viaggio del Vangelo nel mondo e la testimonianza di San Paolo è sempre più segnata dal sigillo della sofferenza. Ma questa è una cosa che cresce con il tempo nella vita di Paolo. Paolo non è solo l’evangelizzatore pieno di ardore, il missionario intrepido tra i pagani che dà vita a nuove comunità cristiane, ma è anche il testimone sofferente del Risorto (cfr At 9,15-16).
L’arrivo dell’Apostolo a Gerusalemme, descritto al capitolo 21 degli Atti, scatena un odio feroce nei suoi confronti, che gli rimproverano: “Ma questo era un persecutore! Non fidatevi!”. Come fu per Gesù, anche per lui Gerusalemme è la città ostile. Recatosi nel tempio, viene riconosciuto, condotto fuori per essere linciato e salvato in extremis dai soldati romani. Accusato di insegnare contro la Legge e il tempio, viene arrestato e inizia la sua peregrinazione di carcerato, prima davanti al sinedrio, poi davanti al procuratore romano a Cesarea, e infine davanti al re Agrippa.
Luca evidenzia la somiglianza tra Paolo e Gesù, entrambi odiati dagli avversari, accusati pubblicamente e riconosciuti innocenti dalle autorità imperiali; e così Paolo è associato alla passione del suo Maestro, e la sua passione diventa un vangelo vivo.
Io vengo dalla basilica di San Pietro e lì ho avuto una prima udienza, questa mattina, con i pellegrini ucraini, di una diocesi ucraina. Come è stata perseguitata, questa gente; quanto hanno sofferto per il Vangelo! Ma non hanno negoziato la fede. Sono un esempio. Oggi nel mondo, in Europa, tanti cristiani sono perseguitati e danno la vita per la propria fede, o sono perseguitati con i guanti bianchi, cioè lasciati da parte, emarginati…
Il martirio è l’aria della vita di un cristiano, di una comunità cristiana. Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù. È una benedizione del Signore, che ci sia nel popolo di Dio, qualcuno o qualcuna che dia questa testimonianza del martirio.
Paolo è chiamato a difendersi dalle accuse, e alla fine, alla presenza del re Agrippa II, la sua apologia si muta in efficace testimonianza di fede (cfr At 26,1-23).
Poi Paolo racconta la propria conversione: Cristo Risorto lo ha reso cristiano e gli ha affidato la missione tra le genti, «perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede» in Cristo (v. 18).
Paolo ha obbedito a questo incarico e non ha fatto altro che mostrare come i profeti e Mosè hanno preannunciato ciò che egli ora annuncia: che «il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti» (v. 23).
La testimonianza appassionata di Paolo tocca il cuore del re Agrippa, a cui manca solo il passo decisivo. E dice così, il re: «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!» (v. 28). Paolo viene dichiarato innocente, ma non può essere rilasciato perché si è appellato a Cesare. Continua così il viaggio inarrestabile della Parola di Dio verso Roma. Paolo, incatenato, finirà qui a Roma.
A partire da questo momento, il ritratto di Paolo è quello del prigioniero le cui catene sono il segno della sua fedeltà al Vangelo e della testimonianza resa al Risorto.
Le catene sono certo una prova umiliante per l’Apostolo, che appare agli occhi del mondo come un «malfattore» (2Tm 2,9). Ma il suo amore per Cristo è così forte che anche queste catene sono lette con gli occhi della fede; fede che per Paolo non è «una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo», ma «l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore, […] è amore per Gesù Cristo» (Benedetto XVI, Omelia in occasione dell’Anno Paolino, 28 giugno 2008).
Cari fratelli e sorelle, Paolo ci insegna la perseveranza nella prova e la capacità di leggere tutto con gli occhi della fede. Chiediamo oggi al Signore, per intercessione dell’Apostolo, di ravvivare la nostra fede e di aiutarci ad essere fedeli fino in fondo alla nostra vocazione di cristiani, di discepoli del Signore, di missionari.
Papa Francesco, udienza generale Aula Paolo VI, Mercoledì 11 dicembre 2019
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