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Terminato il ciclo di catechesi sul Padre Nostro, Papa Francesco ha iniziato oggi, nella consueta Udienza Generale del mercoledì in Piazza San Pietro, una nuova catechesi, stavolta sugli Atti degli Apostoli.


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Iniziamo oggi un percorso di catechesi attraverso il Libro degli Atti degli Apostoli. Questo libro biblico, scritto da San Luca evangelista, ci parla del viaggio – di un viaggio: ma di quale viaggio? Del viaggio del Vangelo nel mondo e ci mostra il meraviglioso connubio tra la Parola di Dio e lo Spirito Santo che inaugura il tempo dell’evangelizzazione. I protagonisti degli Atti sono proprio una “coppia” vivace ed efficace: la Parola e lo Spirito.


Dio «manda sulla terra il suo messaggio» e «la sua parola corre veloce» - dice il Salmo (147,4). La Parola di Dio corre, è dinamica, irriga ogni terreno su cui cade. E qual è la sua forza? San Luca ci dice che la parola umana diventa efficace non grazie alla retorica, che è l’arte del bel parlare, ma grazie allo Spirito Santo, che è la dýnamis di Dio, la dinamica di Dio, la sua forza, che ha il potere di purificare la parola, di renderla apportatrice di vita. Per esempio, nella Bibbia ci sono storie, parole umane; ma qual è la differenza tra la Bibbia e un libro di storia? Che le parole della Bibbia sono prese dallo Spirito Santo il quale dà una forza molto grande, una forza diversa e ci aiuta affinché quella parola sia seme di santità, seme di vita, sia efficace. Quando lo Spirito visita la parola umana essa diventa dinamica, come “dinamite”, capace cioè di accendere i cuori e di far saltare schemi, resistenze e muri di divisione, aprendo vie nuove e dilatando i confini del popolo di Dio. E questo lo vedremo nel percorso di queste catechesi, nel libro degli Atti degli Apostoli.


Colui che dà sonorità vibrante e incisività alla nostra parola umana così fragile, capace persino di mentire e di sottrarsi alle proprie responsabilità, è solo lo Spirito Santo, per mezzo del quale il Figlio di Dio è stato generato; lo Spirito che lo ha unto e sostenuto nella missione; lo Spirito grazie al quale ha scelto i suoi apostoli e che ha garantito al loro annuncio la perseveranza e la fecondità, come le garantisce oggi anche al nostro annuncio.


Il Vangelo si conclude con la risurrezione e l’ascensione di Gesù, e la trama narrativa degli Atti degli Apostoli parte proprio da qui, dalla sovrabbondanza della vita del Risorto trasfusa nella sua Chiesa. San Luca ci dice che Gesù «si mostrò … vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo … e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3). Il Risorto, Gesù Risorto compie gesti umanissimi, come il condividere il pasto con i suoi, e li invita a vivere fiduciosi l’attesa del compimento della promessa del Padre: «sarete battezzati in Spirito Santo» (At 1,5).


Il battesimo nello Spirito Santo, infatti, è l’esperienza che ci permette di entrare in una comunione personale con Dio e di partecipare alla sua volontà salvifica universale, acquistando la dote della parresia, il coraggio, cioè la capacità di pronunciare una parola “da figli di Dio”, non solo da uomini, ma da figli di Dio: una parola limpida, libera, efficace, piena d’amore per Cristo e per i fratelli.

Non c’è dunque da lottare per guadagnarsi o meritare il dono di Dio. Tutto è dato gratuitamente e a suo tempo. Il Signore dà tutto gratuitamente. La salvezza non si compra, non si paga: è un dono gratuito. Dinanzi all’ansia di conoscere anticipatamente il tempo in cui accadranno gli eventi da Lui annunciati, Gesù risponde ai suoi: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,7-8).


Il Risorto invita i suoi a non vivere con ansia il presente, ma a fare alleanza con il tempo, a saper attendere il dipanarsi di una storia sacra che non si è interrotta ma che avanza, va sempre avanti; a saper attendere i “passi” di Dio, Signore del tempo e dello spazio. Il Risorto invita i suoi a non “fabbricare” da sé la missione, ma ad attendere che sia il Padre a dinamizzare i loro cuori con il suo Spirito, per potersi coinvolgere in una testimonianza missionaria capace di irradiarsi da Gerusalemme alla Samaria e di travalicare i confini di Israele per raggiungere le periferie del mondo.


Questa attesa, gli Apostoli la vivono insieme, la vivono come famiglia del Signore, nella sala superiore o cenacolo, le cui pareti sono ancora testimoni del dono con cui Gesù si è consegnato ai suoi nell’Eucaristia. E come attendono la forza, la dýnamis di Dio? Pregando con perseveranza, come se non fossero in tanti ma uno solo. Pregando in unità e con perseveranza. È con la preghiera, infatti, che si vince la solitudine, la tentazione, il sospetto e si apre il cuore alla comunione. La presenza delle donne e di Maria, la madre di Gesù, intensifica questa esperienza: esse hanno imparato per prime dal Maestro a testimoniare la fedeltà dell’amore e la forza della comunione che vince ogni timore.


Chiediamo anche noi al Signore la pazienza di attendere i suoi passi, di non voler “fabbricare” noi la sua opera e di rimanere docili pregando, invocando lo Spirito e coltivando l’arte della comunione ecclesiale.


Piazza San Pietro, 29 Maggio 2019



Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha nominato Mons. Gianrico Ruzza nuovo Vescovo Ausiliare del settore Sud. Prende quindi il posto di Mons. Paolo Lojudice, nominato arcivescovo di Siena.

Nato a Roma il 14 febbraio 1963, Mons. Ruzza è stato ordinato presbitero il 16 maggio 1987; eletto alla Chiesa titolare di Subaugusta, è stato già nominato ausiliare di Roma del settore Centro l'8 aprile 2016. Pochi giorni dopo, l'11 giugno, è stato ordinato vescovo.


Nella solennità di Pentecoste, domenica 9 giugno alle ore 16.00, Mons. Lojudice presiederà la S. Messa di saluto alla Diocesi presso la chiesa nuova del Santuario del Divino Amore: un modo per salutare la diocesi in cui è nato ed è cresciuto, ha vissuto i suoi 30 anni di sacerdozio e ha svolto, dal 2015 al 2019, il suo ministero di Vescovo Ausiliare.



Ieri mattina Papa Francesco ha concluso il ciclo di catechesi sul Padre Nostro. “Liberaci dal male” è “una preghiera filiale e non infantile”…


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Eccoci infine arrivati alla settima domanda del “Padre nostro”: «Ma liberaci dal male» (Mt 6,13b).


Con questa espressione, chi prega non solo chiede di non essere abbandonato nel tempo della tentazione, ma supplica anche di essere liberato dal male. Il verbo greco originale è molto forte: evoca la presenza del maligno che tende ad afferrarci e a morderci (cfr 1 Pt 5,8) e dal quale si chiede a Dio la liberazione. L’apostolo Pietro dice anche che il maligno, il diavolo, è intorno a noi come un leone furioso, per divorarci, e noi chiediamo a Dio di liberarci.


Con questa duplice supplica: “non abbandonarci” e “liberaci”, emerge una caratteristica essenziale della preghiera cristiana. Gesù insegna ai suoi amici a mettere l’invocazione del Padre davanti a tutto, anche e specialmente nei momenti in cui il maligno fa sentire la sua presenza minacciosa. Infatti, la preghiera cristiana non chiude gli occhi sulla vita. È una preghiera filiale e non una preghiera infantile. Non è così infatuata della paternità di Dio, da dimenticare che il cammino dell’uomo è irto di difficoltà. Se non ci fossero gli ultimi versetti del “Padre nostro” come potrebbero pregare i peccatori, i perseguitati, i disperati, i morenti? L’ultima petizione è proprio la petizione di noi quando saremo nel limite, sempre.


C’è un male nella nostra vita, che è una presenza inoppugnabile. I libri di storia sono il desolante catalogo di quanto la nostra esistenza in questo mondo sia stata un’avventura spesso fallimentare. C’è un male misterioso, che sicuramente non è opera di Dio ma che penetra silenzioso tra le pieghe della storia. Silenzioso come il serpente che porta il veleno silenziosamente. In qualche momento pare prendere il sopravvento: in certi giorni la sua presenza sembra perfino più nitida di quella della misericordia di Dio.


L’orante non è cieco, e vede limpido davanti agli occhi questo male così ingombrante, e così in contraddizione con il mistero stesso di Dio. Lo scorge nella natura, nella storia, perfino nel suo stesso cuore. Perché non c’è nessuno in mezzo a noi che possa dire di essere esente dal male, o di non esserne almeno tentato. Tutti noi sappiamo cosa è il male; tutti noi sappiamo cosa è la tentazione; tutti noi abbiamo sperimentato sulla nostra carne la tentazione, di qualsiasi peccato. Ma è il tentatore che ci muove e ci spinge al male, dicendoci: “fa’ questo, pensa questo, va’ per quella strada”.


L’ultimo grido del “Padre nostro” è scagliato contro questo male “dalle larghe falde”, che tiene sotto il suo ombrello le esperienze più diverse: i lutti dell’uomo, il dolore innocente, la schiavitù, la strumentalizzazione dell’altro, il pianto dei bambini innocenti. Tutti questi eventi protestano nel cuore dell’uomo e diventano voce nell’ultima parola della preghiera di Gesù.


È proprio nei racconti della Passione che alcune espressioni del “Padre nostro” trovano la loro eco più impressionante. Dice Gesù: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Gesù sperimenta per intero la trafittura del male. Non solo la morte, ma la morte di croce. Non solo la solitudine, ma anche il disprezzo, l’umiliazione. Non solo il malanimo, ma anche la crudeltà, l’accanimento contro di Lui. Ecco che cos’è l’uomo: un essere votato alla vita, che sogna l’amore e il bene, ma che poi espone continuamente al male se stesso e i suoi simili, al punto che possiamo essere tentati di disperare dell’uomo.


Cari fratelli e sorelle, così il “Padre nostro” assomiglia a una sinfonia che chiede di compiersi in ciascuno di noi. Il cristiano sa quanto soggiogante sia il potere del male, e nello stesso tempo fa esperienza di quanto Gesù, che mai ha ceduto alle sue lusinghe, sia dalla nostra parte e venga in nostro aiuto.


Così la preghiera di Gesù ci lascia la più preziosa delle eredità: la presenza del Figlio di Dio che ci ha liberato dal male, lottando per convertirlo. Nell’ora del combattimento finale, a Pietro intima di riporre la spada nel fodero, al ladrone pentito assicura il paradiso, a tutti gli uomini che erano intorno, inconsapevoli della tragedia che si stava consumando, offre una parola di pace: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).


Dal perdono di Gesù sulla croce scaturisce la pace, la vera pace viene dalla croce: è dono del Risorto, un dono che ci dà Gesù. Pensate che il primo saluto di Gesù risorto è “pace a voi”, pace alle vostre anime, ai vostri cuori, alle vostre vite. Il Signore ci dà la pace, ci dà il perdono ma noi dobbiamo chiedere: “liberaci dal male”, per non cadere nel male. Questa è la nostra speranza, la forza che ci dà Gesù risorto, che è qui, in mezzo a noi: è qui. È qui con quella forza che ci dà per andare avanti, e ci promette di liberarci dal male.


Piazza San Pietro, 15 maggio 2019



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